Impara l'arte e mettila da parte
Impara l'arte e mettila da parte: quale detto della saggezza popolare non fu più vero di questo se applicato all'arte in cucina e al connubio che ci può essere tra esse.
Impara l'arte e mettila da parte, mai un detto della saggezza popolare fu più vero di questo se applicato all'arte in cucinae. Conoscete il vero significato di questo proverbio?
La spiegazione ufficiale dice che è bene imparare molte cose, così prima o poi nella vita ti torneranno utili. Questa è la spiegazione popolare ma ce n'è un'altra, più sottile, che viene da chi ha inventato il proverbio e che sicuramente era un uomo di vera conoscenza.
Diventa esperto in un argomento e poi ragiona, come se tu non sapessi niente!
In fondo quando camminiamo non pensiamo a quali muscoli azioniamo, lo facciamo e basta. Abbiamo imparato come si fa dopo lunghi sforzi e adesso camminiamo senza pensarci. Abbiamo messo da parte la tecnica e la teoria, così in tutte le cose. Il musicista compone dopo aver imparato la musica ma ascolta il cuore; così il pittore, così lo chef quando crea un piatto.
Chi rimane attaccato all'arte è un pedante che non otterrà nulla. Chi la metterà da parte, invece. avrà il premio e diverrà Maestro.
Ma prima l'arte bisogna impararla, c'è poco da fare, non ci sono scorciatoie.
La via diretta non sempre è la più breve. Tornando al nostro detto, se lo applichiamo alla cucina potremmo anche parlare di quell'avidità di conoscenza, del saper fare, saper creare, saper plasmare prima con la mente nella nostra immaginazione e poi con le proprie mani.
E non ditemi che questa già di per se non è Arte.
In questo mondo frenetico chi, se ha avuto questa fortuna come me, non invidia quella "magnifica lentezza del fare le cose con le proprie mani", come facevano le nostre nonne?
Come ha detto il Prof. Giovanni Ballarini, accademico nella Delegazione di Parma dell'Accademia Italiana della Cucina dal 1986,
«L'Arte ha a che fare con il sentimento e con la passione. Anche quando si manipolano gli alimenti senza passione artistica, pure se tecnicamente si è perfetti, non si ottiene granché».
Proprio il Prof. Ballarini in uno dei suoi ultimi libri parla della stessa gastronomia quale forma d'arte.
Queste le sue parole :
«Vi sono vari tipi di arte. C'è l'arte povera, l'arte popolare, la grande Arte e ci sono vari tipi di cucine. L' "arte della cucina" ha infatti degli stretti rapporti con l'evoluzione delle altre arti. Una volta c'era la salsa che univa tutto adesso invece c'è sullo stesso piatto il contrasto del caldo e del freddo, dell'amaro e del dolce. Da qui la cosiddetta "cucina dei contrasti". Oggi non si parla più di ricette, a certi livelli si parla di "progetto" (come in architettura) di food designer. Questi progetti privilegiano gli aspetti visivi. Non è una cosa nuova già Careme Marie Antoine, a metà del '800, dice che "le Belle Arti sono cinque, e cioè: la pittura, la scultura, la poesia, la musica, l'architettura. Quest'ultima ha per ramo principale la pasticceria". Quindi la pasticceria è una branca dell'architettura. Non per niente la gran parte dei nostri dolci venduti dall'industria sono stimolanti proprio sotto l'aspetto estetico e scenografico. Anche la struttura del pranzo ricalca un certo tipo di arte. Nel '600 c'era la grande cucina ostensiva che potremmo rapportare ai grandi affreschi, poi con l'800 il pranzo ricalca la grande operà francese con l'overture, il primo tempo, l'intervallo, il secondo tempo e il gran finale di dolci. Adesso stiamo andando verso una rappresentazione simile ad un piccolo quadro. C'è uno stretto rapporto tra cucina e arti figurative. La gastronomia del resto è un'arte e come arte partecipa all'evoluzione del gusto delle altre arti».
Nel convegno tenutosi all'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Anna Rivaletto ha riassunto egregiamente questo concetto prendendo spunto dallo Chef Massimo Bottura che è forse il cuoco italiano che più lavora pensando esplicitamente all'arte. Bottura, appropriandosi di una delle più celebri frasi di Lucio Fontana, ha emblematicamente sottoscritto l'accostamento tra cibo e arte:
«Le arti seguono l'evoluzione del loro tempo, perché sono specchio dell'intelligenza del mondo».
Il concetto di arte è sicuramente cambiato nel corso dei secoli dai Greci, che la volevano intimamente legata alla tecnica fino al Romanticismo, epoca in cui esplode la concezione della genialità e dell'originalità senza regole.
L'arte in quanto arte è da sempre associata ai sensi, ma anche il cibo chiama in causa i nostri. Attraverso i sensi riconosciamo il valore di un'opera culinaria, distinguiamo le sue differenze, diamo giudizi tanto più precisi e raffinati quanto più i nostri sensi sanno leggere correttamente il piatto. In un piatto, come in un'opera d'arte c'è tuttavia però dell'altro.La cucina è oggi più che mai idee. Un'opera d'arte, più che su tecnica e valori, si fonda su idee. L'arte rende visibile l'invisibile, ed è proprio quello che cerca di fare anche un piatto. Dietro un'opera d'arte c'è volontà di cambiare, intenzione di trasformare quello che si è creato.L'arte è emozione e la cucina, ma anche il singolo prodotto che noi mangiamo così come lo troviamo in natura e non lavorato, può e vuole essere emozione. L'arte è capace di evocare e rievocare continuamente emozioni, e certo non si può dire che quando noi mangiamo un piatto non possiamo sentire lo stesso. L'arte è cambiata e la cucina sta cambiando. I tempi sono maturi per poter leggere la seconda con le chiavi di lettura della prima. Dal Rinascimento l'artista si è liberato dalla sua gabbia di semplice esecutore materiale per rivendicare l'originalità e la sua identità, iniziando per la prima volta a firmare le proprie opere. La nostra epoca concede lo stesso agli chef, non più semplici cuochi. Concede anche a loro di firmare le loro opere, e la firma è il primo importante riconoscimento del proprio lavoro, che precede quello di opera d'arte.